Non c’è bisogno di appartenere a una religione in particolare per riconoscere la straordinaria attualità di un modello antico di convivenza e comunione con la natura. Il racconto di Enrica Bortolazzi.
Il 7 giugno 2018, alla presenza di alcuni monaci, con l’elegante danza di spade del Daishido abbiamo tagliato il nastro inaugurale della Mausolea, un luogo di pace dove La Grande Via, l’associazione che io e il dottor Berrino abbiamo creato, si propone di aiutare le persone a ritrovare l’armonia interiore e il benessere fisico.
La Mausolea di Soci (Ar) non è un luogo, ma un dono, una benedizione, una carezza del cielo. Fra queste mura i cuori trovano consolazione, all’ombra dei tigli le menti si quietano e il viale dei cipressi, che i monaci calpestavano pregando, è ora una strada per chi desidera riconnettersi con se stesso.
Sono partita da Camaldoli per andare in India, tornare a Camaldoli, ritornare in India e ritrovarmi infine al luogo di partenza perché, come dice un antico detto giapponese: «Quando ti sarai stancato di viaggiare e di girare il mondo in cerca di una risposta e di un punto fermo nella tua vita, ti accorgerai di essere arrivato lì dove sei sempre stato».
Oggi, dalla finestra che dà sul viale di cipressi, contemplo il magico cammino delle nuvole che danzano in cielo e ringrazio la vita per l’incontro con questo luogo che sento appartenere alla mia anima da lungo tempo.
Tutto ha un senso
Guardo indietro a questi sei anni: ho viaggiato seguendo un invisibile filo sul quale tempo e spazio si annodavano e piccoli sassolini mi indicavano l’unica via possibile. Sul sentiero ho incontrato uomini e donne connessi alla Sorgente, il loro sguardo mi ha attraversata, la loro voce ha vibrato con una forza in grado di spostarmi e io, io mi sono lasciata spostare. […] Vivo gran parte dell’anno alla Mausolea, un monastero abitato per mille anni dai monaci. Oggi le loro anime riposano in pace, le stanze dagli alti soffitti e dalle piccole celle ne serbano il ricordo, le loro preghiere hanno intriso queste mura rendendole sacre. Lungo la via della preghiera, tra gli alti cipressi, rimane come un’eco lontana la vibrazione del rosario recitato al calar del sole in preparazione della notte.
Sto bene qui, è come se ci abitassi da sempre; il suono delle campane in lontananza accompagna ogni mio risveglio mentre il cielo dipinto di nuvole allieta le mie giornate.
Le notti luccicanti di stelle mi raccontano il silenzio e la profondità di queste terre che mi dissetano, donandomi semplicità e pace. […] La liturgia, l’obbligo di seguire ogni giorno una lunga serie di cerimonie religiose, rappresenta la cornice entro la quale l’evoluzione del monaco può compiersi scorrendo piano come un fiume protetto da argini sicuri. Nella recita personale e corale delle litanie e nei canti di lode si nasconde il prezioso tesoro del risveglio, del dissolvimento in un Oltre che riempie la coscienza di Luce.
Tutto ha un senso preciso, la terra diviene culto reverenziale per l’Universo e il suo Creatore, la coltivazione degli ortaggi e delle erbe è ben più di un sostentamento e una cura, ma rappresenta la comunione con le forze della natura e l’intelligente armonia che viene regolata dalle Leggi della Creazione.
Ricordi e immagini
In questa notte che sta per diventare alba, sento che l’incanto dei monasteri e dei monaci che li abitano sta nella ricerca preziosa della trasmutazione della Materia in Spirito, nella ricerca della comprensione delle leggi immutabili dell’Universo e nell’Amore che tutto sottende. Rivedo i luoghi, i visi intrisi di serenità e saggezza incontrati sul mio cammino e allora sogno, sogno ad occhi aperti, con lo sguardo rivolto verso la luce che presto inonderà il cielo, un monastero laico abitato da persone che vibrano nello stesso modo, che cercano verità, che innalzano la loro consapevolezza nella grande libertà di essere se stesse.
Immagino che la sapienza del passato si unisca alla scienza del futuro. Immagino nuova spiritualità che si spande nei cuori e nei luoghi abitati dalla luce. Immagino persone che lavorano la terra con rispetto e fede, campi coltivati con passione e gioia leggendo il libro della natura e della sapienza contadina, semi liberi di creare e rinnovare la vita, cibi sani che donano vitalità a corpi pieni di energia e viandanti che trovano ristoro nella pace di queste mura. Immagino esseri umani liberi da pregiudizi e paure, rispettosi delle leggi della Creazione, che innalzano il loro livello di coscienza vivendo una vita piena e realizzata; immagino preghiere silenziose e mantra che si spargono come sementi per far fiorire altri cuori e vedo l’oscurità dissolversi e una luce sempre più intensa farsi strada e indicare la Via.
Inchinarsi al mistero
Il fuoco del nuovo giorno è appena sorto dietro la montagna, la rugiada ricopre i fiorellini di malva che si schiudono lentamente, l’oscurità della notte ha lasciato spazio al nuovo sole che riempie il mondo. Mi inchino a questo mistero che ogni giorno rinasce con un «grazie» appena sussurrato. È un attimo, e contiene tutta la mia storia.
Il sogno del monastero si libra verso l’alto, lo affido a quel Qualcuno che sa già ciò che dovrà accadere, mi inchino al sacro mistero della vita e della morte che tutto avvolge, consapevole di essere solo un minuscolo tassello di uno splendido mosaico. All’improvviso sento che tutta la mia storia, le mie ferite, gli abbandoni, i lutti, le disperate assenze, tutto converge in un unico punto da cui ripartire. In Giappone esiste l’arte del Kintsugi: riparare con l’oro, inserire il prezioso metallo per sanare le crepe di un vecchio oggetto altrimenti inservibile; far divenire quell’oggetto ferito un capolavoro prezioso: vuol dire riconoscerne l’unicità, sentire che da ciò che apparentemente era morto rinasce una nuova vita. […]
So che per cambiare il mondo devo partire dalla mia trasformazione interiore, guardare la vita con occhi nuovi, permettermi di ascoltare le emozioni che mi abitano: solo allora la realtà che mi circonda potrà mutare davvero.
Il monastero diverrà allora il luogo di elevazione verso il sacro, verso la sconfinata bellezza della vita che, pur nelle sue innumerevoli difficoltà, è sempre sorretta da una luce che ci accompagna, anche quando non abbiamo occhi per vederla.