Un altro passo in avanti per la Guida Nomade: grazie al lavoro della Fattoria di Selvoli, nei terreni adiacenti alla villa La Mausolea di Soci (Ar) si seminano le vecchie varietà di frumento.
Un invito a ripartire dall’amore per la terra, dal cibo sano, dalle relazioni autentiche e dal lavoro inteso nel senso più nobile del termine, per poi spingersi sulle tematiche della consapevolezza e dell’ecologia profonda. Sono alcuni dei capisaldi della Guida Nomade, il progetto di Franco Berrino ed Enrica Bortolazzi, realizzato insieme a Terra Nuova, per promuove e sostenere le attività agricole, artigianali e di accoglienza turistica che abbiano a cuore l’ambiente, la bellezza, la salute, la cultura e l’etica. Una guida, consultabile online, con schede approfondite sulle singole aziende agricole a cui si accompagna uno spazio mensile su Terra Nuova.
Ebbene, dopo dodici mesi di nomadismo, in questo nuovo inizio anno ripartiamo da qui, dalla Mausolea di Soci (Ar). E si riparte dall’elemento primario: il pane. Non un pane qualsiasi, ma un pane speciale, che aveva attirato la nostra attenzione in occasione degli eventi presso il quartier generale de La Grande Via nel Casentino. Sul prato, tra i filari del frutteto, dietro l’imponente struttura della Mausolea, nei giorni degli eventi vengono allestiti gli stand. E tra tutti ce n’è sempre uno particolare, che si riconosce da lontano, con il naso, dalla fragranza inconfondibile del pane cotto a legna e appena sfornato. Davanti allo stand c’è una navicella spaziale, un cilindro metallico con un tubo rivolto verso il cielo. In realtà è un forno a legna sulle ruote, un pezzo artigianale costruito in Sardegna. E dietro a questo grande arnese c’è lui, Johannes Osthaus, trentotto anni, coltivatore e trasformatore di grani antichi, insieme al padre Andreas della Fattoria di Selvoli. Un forno mobile che i due utilizzano presso i mercatini del biologico portando un po’ di calore nelle piazze.
Cicli cosmici e fauna selvatica
Andreas, il padre di Johannes, ci racconta la storia dell’azienda agricola. «Alla fine degli anni ’80 vivevamo a Roma, affaccendati in tutt’altre storie, impegnati nella costruzione di grandi acquari. Il mio sogno è sempre stato quello di trasferirmi in campagna, non solo per fare una vita più a misura d’uomo, ma per rendere un lavoro utile all’intera società. Fin da bambino avevo fatto conoscenza, grazie agli zii che vivono in Germania del Nord, delle aziende biodinamiche.
Nel 1990 abbiamo acquistato il terreno nell’Alto Casentino e con fatica adesso raccogliamo i primi frutti. Il lavoro agricolo quassù è più duro, si coltiva in pendenza e abbiamo a che fare con un terreno sassoso. Rispetto alle coltivazioni di pianura le rese sono ridotte a un terzo. Ma le soddisfazioni sono enormi, prima di tutto quella di lavorare in un posto incontaminato».
Se si includono i terreni presi in affitto, i seminativi, il bosco e i pascoli la Fattoria di Selvoli si estende complessivamente sui 50-60 ettari. Oltre ai campi di grano ci sono gli uliveti e poi un meleto con varietà antiche, ma è giovane e non ancora produttivo.
«Ogni anno, se tutto va bene, raccogliamo circa 300 quintali di cereali» prosegue l’agricoltore. «Li maciniamo tutti nel nostro mulino a pietra e vendiamo la farina all’ingrosso, ai fornai e a qualche privato. La pandemia non ha intaccato la nostra economia. Anzi. Da due anni a questa parte finalmente riusciamo a far quadrare bene i conti. Si dice che non si riesce a vivere di agricoltura, ma insistendo è possibile».
Per fertilizzare i terreni non si usano concimazioni, ma ci si limita a fare sovesci e rotazioni. «Abbiamo un’impostazione biodinamica» spiega Andreas «cerchiamo di utilizzare i cicli cosmici, scegliamo le giornate giuste per le semine. Per noi l’antroposofia è un aspetto fondamentale, senza di essa fare agricoltura avrebbe poco senso. Seguiamo le indicazioni di Enzo Nastati, la cui associazione sviluppa metodi e valori che concorrono al benessere e all’evoluzione nostra e della natura, secondo un approccio olistico».
Uno dei problemi principali qui è l’abbondanza di fauna selvatica. I recinti vanno continuamente controllati per non far entrare cervi, cinghiali e caprioli. «I cervi sono quelli che fanno più danni» testimonia Andreas, «non tanto ai cereali, ma ai meli e agli olivi. Arrivano a spezzare i rami delle piante. Il terreno richiede sempre lavori, dalle recinzioni al recupero dei terrazzamenti, alla sistemazione della strada sterrata».
Il pane viene fatto tre volte a settimana, nel nuovo forno mobile, un po’ più grande di quello usato negli eventi. Nei fine settimana ci sono i mercati contadini, come quello di Ponte a Poppi, o La Fierucola di Firenze. I grani antichi sono diventati la nuova passione. «Abbiamo iniziato a coltivare varietà antiche, recuperando il Verna, originario di queste parti, e collaboriamo con il professor Stefano Benedettelli, agronomo dell’Università di Firenze» continua Andreas, che ci fa un elenco delle varietà di grano tenero: Andriolo, Sieve, Verna aristato, Andriolo Raticosa, Autonomia, e un miscuglio che dà molta soddisfazione.Tra gli ultimi esperimenti c’è la coltivazione del Sieve aristato, che si difende meglio dai cinghiali e ha ottime qualità organolettiche.
Il progetto alla Mausolea
La collaborazione tra la Fattoria di Selvoli e La Grande Via è diventata sempre più stretta. «Per la prima volta quest’anno abbiamo lavorato terreni adiacenti alla villa della Mausolea, tra cui il vecchio orto dei monaci, su circa 5 mila metri di terra» racconta Andreas. «Abbiamo fatto piccole parcelle di 4-5 grani antichi seminati a mano e poi in un appezzamento contiguo più grande, dove abbiamo seminato la varietà Sieve. In questo modo i visitatori hanno modo di osservare tutte le fasi della crescita del grano. Poi c’è Johannes che presso la Mausolea è solito fare delle dimostrazioni di panificazione con grani antichi e lievito madre». Il vecchio edificio abitato dai monaci torna così ad essere operativo anche sul piano della produzione.
«L’obiettivo de La Grande Via è aumentare la consapevolezza» conferma Franco Berrino. «Lavoriamo attraverso i libri e le conferenze, ma dobbiamo trovare qualcosa che arrivi alla gente. E la piccola agricoltura, così come abbiamo stabilito con la Carta della Mausolea, è il primo passo, quello più importante, per riappacificarci con la terra. La possibilità di conoscere direttamente chi coltiva ci dà una garanzia in più e rende pieno valore al lavoro che facciamo nella promozione di stili di vita sani, rispettosi della natura e di tutti gli esseri viventi.
Al di là delle produzioni, che saranno per adesso limitate, per noi il valore simbolico di questa ripartenza alla Mausolea è enorme. Coltivare biodiversità e produrre buon cibo vuol dire seminare consapevolezza».